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lunedì 30 marzo 2015

Un amore lungo 100 anni

Se sperate di leggere la storia strappalacrime di una vecchia coppia sposata, preparatevi invece a sentire tutt'altra storia: si comincia in un aereoporto, dove il nostro protagonista atipico -un orsetto di pezza color quasi marrone- inizia a smattare perché non lo fanno passare oltre i controlli della sicurezza. Già da subito si capisce che sì, questo orsacchiotto così consunto e malridotto conserva davvero qualcosa di speciale dentro di se: conserva l'amore. L'amore puro, vero, universale. L'amore che la sua creatrice ha provato nel farlo, in ricordo del marito disperso in guerra; l'amore di chi, quando questa donna lo perde alla stazione di Paddington, lo raccoglie e lo dona facendo cominciare così la sua avventura mentre passa di mano in mano.
Lo consiglio addirittura per i bambini: parla, in modo molto soft ma anche molto serio, del regime nazista -il nostro simpatico protagonista arriverà persino in mano ad un soldato tedesco che va in distaccamento in Norvegia- e degli anni della Guerra Fredda e del Muro di Berlino.
Lo stile è semplice, scorrevole, scritto in una prima persona che però non infastidisce (il protagonista non pecca di hybris, ed anzi è sempre pronto ad ammettere di non sapere o sbagliare determinati giudizi), è molto dolce ed è soprattutto molto autocritico. Riflette tantissimo su tutte le scelte che compie, ed anche su quelle che compiono gli altri. Ama i paragoni, e li fa da un punto di vista davvero molto semplice ed intuitivo.
Commuove, e commuove tanto: il dedalo di situazioni conosciute dal nostro protagonista, Henry Nearly Brown, sono molteplici e sfaccettate. Si passa dalla famiglia del Mulino Bianco a quella in cui invece volano le botte; dalla bambina che cresce assieme a lui e se lo porta fino al matrimonio a chi lo lascia muffire sul davanzale perché attratto da altri giochi.
Non scrivo oltre perché ve lo spoilererei tutto, e non mi va; ve lo consiglio anche se sulle prime sembra un libro "per bambini", ma vi assicuro che il linguaggio in cui parla questo libro è davvero comprensibile a dodici come a ottant'anni. E sarebbe bene leggerlo, e sarebbe bello capire che davvero basta guardare le cose da un altro punto di vista per capire che anche chi consideriamo nostro nemico ha sempre un motivo, a volte anche stupido, per agire male contro di noi. E capendo quello, secondo la sottoscritta, il mondo girerebbe un po' meglio ed un po' del nostro egoismo verrebbe eliminato dalla Terra. Che inquina. Mica è biodegrabadile!
Per la 2015 reding challenge, lo segnerei tra le voci: libro scritto da una donna; libro ambientato in un paese straniero; libro ambientato in un posto che voglio visitare (ci sono davvero tantissime nazioni in cui passa il nostro eroe, c'è solo l'imbarazzo della scelta!); libro con personaggi non umani (almeno uno basterà, no?); libro basato tutto sulla copertina.
Buona lettura, gente!
Amy

mercoledì 25 marzo 2015

Hunger Games (La trilogia)- Suzanne Collins



Chi di voi avrà, anche solo per sbaglio, sentito parlare degli Hunger Games?
Quanti tra quest’ultimi ha mai sentito parlare di Battle Royale?

Che la Collins, autrice della popolarissima saga di Hunger Games, si sia ispirata proprio a Battle Royale sembra ai più evidente; mentre per quanto mi riguarda non tratterò l’ipotesi di plagio, sostenuta da alcuni, piuttosto volevo analizzare il mondo post-apocaliptico creato dalla stessa.
Partendo dal principio, dovete scusare questo piccolo gioco di parole, la trama è piuttosto semplice: Katniss Everdeen, sedicenne protagonista della trilogia, vive con la madre e la sorella Primrose nel distretto dodici. Il nuovo governo si basa sul terrore praticato dalla capitale, caso vuole si chiami… ora che si è creato il giusto pathos, lo posso dire: Capitol City.
Il centro nevralgico della città stessa è rappresentato dal cattivissimo presidente Snow, che come ogni buon cattivo da rispettarsi ha un suo animale guida, a cui assomiglia terribilmente: un serpente; anche questa non ve l’aspettavate, scommetto!
Ad ogni modo Capitol City per affermare il suo dominio su tutta Panem e i dodici distretti decide di regalare al pubblico un po’ di divertimento attraverso un reality: così come i munera gladiatoria stavano al popolo romano, così gli Hunger Games stavano agli abitanti di Capitol City. Esattamente come guardare i tentativi di sopravvivenza dello star system italiano nell’isola dei famosi e chiedersi perché lo fanno. La differenza sostanziale credo siano i soldi, ma questo è più o meno lo stesso movente dei favoriti dei distretti uno e due.
Forse è il caso di fare un passettino indietro e di focalizzarci sul vero punto della trama, il triangolo amoroso in cui si ritrova la nostra protagonista che per ben due libri sostiene di non voler stringere legami amorosi…per una che non vuole un ragazzo averne due deve essere un vero tormento.
Chi scegliere tra il migliore amico Gale, famoso casanova del loro distretto, e il timido Peeta Mellark da sempre innamorato di lei, che le ha perfino salvato la vita lanciandole delle pagnotte di pane che aveva fatto cuocere leggermente più del dovuto, anche se le conseguenze sarebbero state un paio di sberle da parte della madre?
Una scelta difficilissima per la giovane, il cui punto di vista è unico e fuorviante. Capisco che le condizioni in cui viva con la sua famiglia non sia delle migliori, ma potrebbe fare a meno di lamentarsi di ogni ramoscello sul suo cammino insomma.
La critica che mi sentirei di fare all’autrice in questo momento è: perché? Perché un punto di vista unico, per di più di una come Katniss, che diciamocelo…non è proprio miss simpatia?
Sarebbe stato più interessante ed esauriente spostare il narratore di tanto in tanto, anche durante i giochi, vedere solo Katniss che si arrampica sugli alberi non è emozionante. Volevi ricreare l’atmosfera dei giochi all’ultimo sangue dell’antica Roma? Non ti piace Roma, allora preferisci Battle Royale? Allora mostra il sangue come si deve, mostra il gruppo dei favoriti, ad esempio. Altrettanto vero è, però, che di libri per adolescenti o young adults si tratta; quindi non condanniamo la povera Collins per questo!
Trovo molto interessante proprio il contorno entro cui si svolgono tutte queste situazioni: a partire dal motivo per cui vengono creati gli Hunger games, di come la gente di Capitol City, avvezza a ogni tipo di lusso, non si intenerisca di fronte a bambini costretti ad ammazzarsi solo per una guerra combattuta settantaquattro anni prima e di cui non hanno alcuna colpa. Vi sembrerà strano che io abbia usato il termine bambini, ma in effetti di questo si tratta. Il reality prevede, infatti, che ogni distretto dia ogni anno due tributi, uno maschio e uno femmina tra i dodici e i diciotto anni, e che questi combattano tra loro fino ad avere un unico vincitore.
Da qui ci ricolleghiamo alla trama, la nostra Katniss non sembrava proprio destinata ad essere estratta per questi giochi, ma la sorellina Prim che aveva una sola possibilità su cento di essere estratta lo è stata. Katniss dunque, per amor di sua sorella si offre volontaria al suo posto, e indovinate un po’: chi sarà scelto come tributo maschio? Ebbene, il povero Peeta, che nessuno della sua famiglia sembra amare, per cui i suoi fratelli più grandi hanno deciso di non immolarsi.
Il resto della trama ve lo risparmio poiché suppongo che per sommi capi la sappiate già, nel caso contrario c’è sempre internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Hunger_Games_%28serie%29. L’idea della Collins, per quanto non brilli di originalità, mi è molto piaciuta per il mondo di contorno attorno cui ha sviluppato le vicende.
Ribaltando questo mondo sul nostro possiamo notare delle facili somiglianze con la politica attuale, ma anche con quella del passato. Si può dire che l’autrice abbia voluto trasmettere qualcosa al pubblico verso cui è rivolta la sua opera, che in fondo non è tanto male. Insegna qualcosa, per quanto la bontà dei protagonisti sia stucchevole, nella realtà nessuno è così buono, ma nei libri tutto è possibile.
Il terrore in ogni caso non è la migliore arma di governo, se basta una ragazza per fomentare una rivolta.
Ergo, se qualcosa non ci piace del mondo in cui viviamo possiamo provare a cambiarlo, anche nel proprio piccolo si può fare molto.

Buoni settantaseiesimi Hunger Games a tutti!

martedì 24 marzo 2015

La verità vi renderà liberi(?)


Mi sono impelagata nuovamente nella lettura de "Il codice Da Vinci" per cercare di cominciare, almeno, a spuntare un paio di quadratini alla volta nella mia "Reading Challenge 2015". Quindi...andiamo a quello che penso.
Teniamo conto che l'ho letto, anche se a fatica per colpa dei miei impegni, dopo aver dato un esame di storia delle religioni. Il che mi è tornato molto utile per capire varie cose che il signor Brown ha ficcato in mezzo al libro che più ha sollevato polveroni nell'ultimo decennio -a sentire le voci.
Personalmente: a me le descrizioni di Brown piacciono da morire, adoro il suo essere preciso senza essere maniacale; ha uno stile fluido, che anche se ti perdi un paio di righe per la stanchezza capisci ugualmente. Per chi ha visitato Londra e Parigi, penso convenga con me che la descrizione delle città non è lasciata al caso e non è per nulla male.
Sulla storia possiamo aprire un quaderno e scriverne di ogni, io mi soffermerei sul lato più "narrativo della faccenda"...okay, ammetto che sia surreale ma a me piace molto. Mi piace soprattutto il lento "lievitare" dei vari personaggi, da quelli principali a quelli secondari. Infatti il mio preferito è Andrè Vernet, il direttore della Banca Svizzera, che sembra avere il lato oscuro più grande degli altri anche se, al contrario, gli si darebbe del santo. Rispetto al film (spunta n°1) è secondo me più intenso, dettagliato, meno sbrigativo. I cryptex sono due, uno dentro l'altro, il primo si apre con "un'antica parola di saggezza" che spacca il cuore della protagonista femminile; Sir Leigh Teabing ha tutto un altro spessore e significato, anche se ho amato l'interpretazione data da Ian Mckellen -ma sono di parte, è uno dei miei attori preferiti!-. Anche Bezu Fache ed il tenente Collet hanno un'altra "faccia" nel libro, che secondo me supera di gran lunga il film.
Direi che con i giudizi personali ho concluso: un breve riassunto della trama? Allora...Parigi, notte, camera di un albergo. Il professor Langdon, reduce da una conferenza tenutasi nella capitale francese, viene svegliato di soprassalto. Sfortunatamente, il suo soggiorno a Parigi si è appena trasformato in un incubo. Il curatore del museo che ha aspettato per più di un'ora al bar dell'hotel è morto dentro la Grand Galeriè del Louvre, il museo più grande del mondo, e lo ha messo in mezzo per aiutare la nipote, Sophie Neveu, a trovare un msiterioso tesoro nascosto: Il Santo Graal. Sophie e Robert si ritroveranno immischiati in un curioso puzzle dal retrogusto esoterico, e non sono i soli sulle tracce del Graal...nell'ombra tramano forze più grandi di loro, al di là di ogni loro immaginazione.

Voglio solo aggiungere che, al di là di tutto, non mi sembra così tanto un "banned-book". Alla fine, e ve lo dico con cognizione di causa, quello che vi è scritto sono solo favolette rispetto a tutto ciò che può essere contenuto, sulla cristianità, in "Le Dossier Secrèts" o altri vari libri basati sui documenti risalenti alla vita di Cristo. Insomma, qualunque puritano potrebbe leggerlo senza fare peccato. Molto peggio leggere "50 sfumature di Grigio", a mio parere ;)

Se anche voi come me state tendando (invano) di finire la vostra reading challenge, mi piacerebbe inserire qui a piè pagina le categorie a cui, secondo me, questo libro può appartenere:
  • libro di più di 500 pagine (sul mio ne ho 519)
  • libro diventato film
  • thriller/romanzo del mistero
  • libro ambientato in un'altra nazione
  • Primo libro di un autore popolare
E direi...basta, almeno per me :) Se nei commenti volete aggiungerne, siete benvenuti!
Un abbraccio!
AmyJay

venerdì 13 marzo 2015

Thank for the memories

Il piccolo popolo dei grandi magazzini.
Il colore della magia.
La luce fantastica.
Stregoneria.
L'arte della magia.
Sorellanza stregonesca.
Eric.
Morty l'apprendista.
Streghe all'estero.
Streghe di una notte di mezza estate.
Il tristo mietitore.
Stelle cadenti.
All'anima della musica!
Tartarughe divine.
A me le guardie!
Uomini d'arme.
Piedi d'argilla.
Un cappello pieno di stelle.
Maledette piramidi.
Il prodigioso Maurice e i suoi geniali roditori.
Buona Apocalisse a tutti!

Me ne manca qualcuno,
ora mi manchi anche tu.

martedì 10 marzo 2015

Boy meets boy - David Levithan

Ci siamo perse per strada, correndo tra i libri, è vero: ma la solfa, in questi due mesi, non è affatto cambiata. Siamo sempre lì, a correre tra i libri, sperando che la fortuna ci faccia posare gli occhi o le dita sul prossimo capolavoro.
Ci arrabbiamo se uno scrittore ci fa innamorare e poi non pubblica un secondo, un terzo, un quattordicesimo libro; con le traduzioni in italiano di titoli che in lingua originale ci sembrano cimeli (avete presente The Rosie effect? "Sto leggendo un bel libro, si chiama The Rosie effect!" suona molto meglio di "Sto leggendo un libro, L'amore è un progetto pericoloso, non fare quella faccia"); con la scelta di pubblicare solo tre libri delle Guardie di Terry Pratchett invece che tutta la saga - eccetera eccetera.
In questo periodo ho letto dei libri davvero interessanti, di cui mi sarebbe difficile fare una recensione senza rovesciare pentoloni pieni d'amore sulla tastiera.
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, di cui ho da poco imparato a scrivere le due acca, e Gli umani, di Matt Haig, che porterò sempre con me.
Poi sono tornata sulla vecchia via, per così dire, naufragando un'altra volta in quelli che sembrano romanzi un po' facili. E sono incappata in Levithan, autore che già conoscevo per una collaborazione che aveva fatto con Rachel Cohn e che mi era piaciuta molto.
Boy meets boy è molto diverso da quello che avevo letto in precedenza. Mi ricorda un libro che lessi qualche anno fa, mi sembra di chiamasse Il mondo dei ragazzi normali. Tuttavia, questo è più delicato, sembra un piccolo fiore. Una rosa in un campo di girasoli, o forse solo una margherita.
Non ho letto molte cose LGBT, sempre che la sigla sia quella. Sia chiaro, uno dei miei libri in assoluto lo è, ma non sono rimasta affezionata al genere.
Ma questo libro ha qualcosa di speciale: la ventata di normalità che lo investe in pieno.
Paul è il protagonista del libro. E' gay, ma suscita lo stesso stupore che susciterebbe se fosse biondo. Ha un migliore amico, Tony, per cui la frase "è gay" crea un po' più di problemi, soprattutto in famiglia. Non della serie "brucerai all'inferno", eh, non ne parlano mai, sperano che nessun ragazzo visibilmente gay bussi alla sua porta da solo e si portano la mano alla bocca e rischiano di scoppiare in singhiozzi ogni qual volta si presenta il problema. Per uno di questi motivi, e per la loro eterna amicizia di base, Paul si porta sempre dietro la sua migliore amica, Joni, con cui poi andrà in crisi.
Paul s'innamora di Noah, l'amore della sua vita. La persona che quando arriva pensi: "Sei arrivato, finalmente!". Proprio quando comincia a vedere fiori e stelline tutto intorno a sé, rispunta Kyle, l'ex per eccellenza, che naturalmente torna alla carica. Riuscirà Paul a fare le sue cazzate del caso e a recuperare tutto?
Va bene, detta così sembra di una banalità sconcertante. Non è banale: è normale, ed è proprio quello il punto. Chissenefrega se a baciarsi sono due uomini. Se si chiamassero Paul e Liza o Jane e Noah sarebbe lo stesso, no? Sarebbe normale. E anche un po' banale, sì, ma lo leggerebbe un sacco di gente.
E' qui che Levithan ha fatto centro: ci ha messi davanti ad una normalità letteraria a cui - purtroppo - non siamo abituati. E l'ha fatto con la leggerezza delle migliori intenzioni.
Che, per una volta, non lastricano la strada dell'inferno.